Pupi Avati: Ombre e segreti dell’Italia rurale
Film di chiusura dell’81° Mostra del Cinema di Venezia, L’orto americano vede il ritorno del regista Pupi Avanti al “gotico padano”, sei anni dopo Il Signor Diavolo.
Un ritorno al gotico padano
Il nuovo thriller gotico di Pupi Avati, presentato Fuori Concorso, ha chiuso l’81° Mostra del Cinema di Venezia, segnando la decima presenza dell’autore bolognese al Lido.
L’orto americano narra una storia dalle tinte fosche che si dipana dal Midwest americano fino al delta del Po, il “Midwest italiano” come lo definisce il regista. Location, quest’ultima, molto cara ad Avati e rappresentativa per la sua produzione artistica, quella orrorifica in particolare, definita dalla critica con l’etichetta di “gotico padano“. L’insolita commistione fra le suggestioni del cinema gotico e il folklore di paesaggi, personaggi e misteri dell’Italia rurale: questa la poetica inedita e personalissima che Avati concretizza per la prima volta con il suo La casa dalle finestre che ridono (1976), un thriller-horror in netta controtendenza rispetto ai canoni cinematografici del periodo.
Invece che i contesti urbani, cupi e claustrofobici, tipici del giallo, Avati colloca la sua storia in aperta campagna, fra cortili invasi dalla luce e casolari scrostati e cotti dal sole, ambientazioni che non si limitano a fare da sfondo ma diventano reali protagonisti dalla vicenda. La casa dalle finestre che ridono ha il sapore di polvere e sudore, un film capace di conferire alle ridenti e sonnacchiose cittadine di provincia un’indefinita aura minacciosa.
Memorie e misteri
Attingendo ai racconti orali della sua infanzia e alla letteratura fantastica, Avati costruisce quindi un forte contrasto fra luoghi a prima vista rassicuranti e le cupe storie che vi hanno luogo. Come accade anche nel film Zeder (1983), girato lungo la riviera romagnola e imperniato sul tema del ritorno dalla morte, elemento centrale dell’immaginario contadino a cui Avati si rifà continuamente per il suo “gotico padano”.
Il regista ritorna al filone nel 1996 col film L’arcano incantatore, questa volta ambientato sull’appennino bolognese ma sempre saldamente legato alle tradizioni e superstizioni popolari dei secoli passati.
Con Il nascondiglio (2006), girato negli States, Avati si discosta dal suo canone consolidato per confezionare un thriller più vicino ai modelli d’oltreoceano. Ritroviamo però tutti gli elementi classici del suo cinema: una comunità ostile e omertosa, luoghi nebbiosi e una visione negativa e minacciosa del clero.
Lo troviamo nuovamente nelle tenebrose location rurali della provincia italiana in Il signor diavolo (2019), un “gotico padano” nella campagna veneta dei primi anni ’50, che affronta ancora una volta il tema della superstizione e dell’influenza, talvolta distruttiva, della religione.
Con la sua ultima opera, L’orto americano, Avati non solo celebra il ritorno al genere da lui codificato e che lo ha reso famoso, ma amplia la geografia del suo immaginario orrorifico ricordandoci di nuovo che le campagne silenti custodiscono gelosamente i loro oscuri segreti.