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Recensione di Wolf Man (2025) – Fra body horror e dramma familiare

By on 24 Gennaio 2025 0 47 Views

Recensione di Wolf Man (2025), il nuovo film di Leigh Whannell che riporta sul grande schermo un altro “mostro classico” dopo il suo L’Uomo Invisibile.

Recensione di Wolf Man (2025)

Trama

Blake e Charlotte, lui scrittore in pausa e lei giornalista in carriera, sono una coppia in crisi. Per cercare di riavvicinarsi e ritrovare il calore familiare decidono di partire, insieme alla figlioletta Ginger, alla volta delle montagne dell’Oregon per passare un po’ di tempo nella casa isolata del padre di Blake, venuto da poco a mancare. Ma quando raggiungono il posto un misterioso essere uscito dalla foresta li aggredisce, ferendo Blake. La famiglia si barrica in casa, ma mentre la creatura cerca di entrare, Blake mostra segni di malessere, come se una malattia aggressiva stesse rapidamente compromettendo il suo organismo…

Recensione di Wolf Man (2025)

I mostri classici stanno tornando al cinema, e il turno questa volta è di L’Uomo Lupo. Wolf Man è un film del 2025 diretto da Leigh Whannell (Upgrade, L’Uomo Invisibile, Insidious 3) secondo film del Blumhouse “Universal Monsterverse”. È da tempo che si progetta un Universo Condiviso “oscuro”, nel quale avrebbero trovato posto i remake di L’uomo invisibile (1933), Il mostro della laguna nera (1954), L’Uomo Lupo (1941) e Dracula (1931), ma dopo il fallimento commerciale di La Mummia (2017) l’idea è stata ampiamente ridimensionata e l’attenzione spostata sul realizzare pellicole con un budget inferiore ma più attente ai gusti del pubblico attuale.

Il nuovo film di Leigh Whannell porta sul grande schermo una versione senz’altro moderna del classico di George Waggner, con il quale ha pochissimo con cui spartire, confezionando un film di stampo psicologico e intimista.

Recensione di Wolf Man (2025)

Un licantropo moderno

Leigh Whannell spoglia il licantropo della sua connotazione mitologica più classica, tanto che risulta quasi difficile parlare di licantropia in relazione alla pellicola: non c’è luna piena né pallottole d’argento, l’aspetto stesso del lupo è molto meno animalesco di quanto ci si possa aspettare.

Blake Lovell non è un lupo mannaro nel senso canonico del termine, bensì un uomo che ha contratto un virus misterioso. Nonostante nel film si faccia riferimento alla leggenda del “Volto di lupo”, che nella realtà potrebbe avvicinarsi alle credenze dei nativi americani relative agli Skinwalkers e ai Wendigo, la licantropia è riportata in una dimensione più medico-razionale che non sovrannaturale e folkloristica.

Wolf Man è dunque lontanissimo dal remake (quasi) omonimo di Joe Johnston, The Wolfman (2010), e abbandona le atmosfere gotiche e fantastiche per privilegiare una sorta di realismo clinico. Siamo più vicini a film come Wolf – La bestia è fuori o anche (e soprattutto) a La metamorfosi del male, quest’ultimo caratterizzato da un approccio scientifico al tema della licantropia e da un aspetto dell’”uomo lupo” decisamente umano.

Fra i motivi che hanno portato il pubblico a storcere il naso c’è proprio l’estetica del nuovo Wolf Man, molto lontano da quello che tradizione vorrebbe, e questo, unito alla totale mancanza di un aggancio con la storia di Larry Talbot, può giustamente portare a chiedersi quale sia il senso di pubblicizzarlo come un remake del film del 1941.

Recensione di Wolf Man (2025) e spiegazione del film

La svolta body horror

L’idea di Whannell è confezionare un horror drammatico che porti in scena tematiche di un certo impatto, come l’idea di una malattia degenerativa e di come questa stravolga la vita familiare. È interessante la piega nettamente body horror che prende il film, dove la trasformazione è mostrata come processo graduale, doloroso, repllente e alienante, intriso di malinconia e disperazione, tanto che si notano delle affinità con la cronenberghiana Mosca, specialmente nel drammatico finale. Apprezzabile il trucco prostetico e gli effetti artigianali in generale, che regalano qualche momento disturbante e gore.

L’applicazione del trucco su Christopher Abbott richiedeva un tempo variabile tra le due ore e mezzo e le sette ore e mezzo, a seconda della fase della trasformazione. Sebbene il risultato non abbia pienamente convinto come rappresentazione di un “licantropo”, è comunque efficace nel trasmettere l’immagine (a tratti disgustosa) di un malato in costante peggioramento.

Recensione di Wolf Man

Traumi familiari e problemi di coppia

Il tema della malattia non è il solo a venire affrontato: si parla anche di trauma generazionale, ovvero di come un bambino traumatizzato finisca per diventare un adulto che a sua volta danneggerà i suoi figli, ma anche di incomunicabilità all’interno della coppia. Charlotte infatti assiste al cambiamento del marito senza potersi opporre, Blake è sempre più lontano e irraggiungibile e i due non riescono più a capirsi. In quest’ottica è emblematica la scena in cui marito e moglie cercano di confortarsi a vicenda ma il linguaggio è ormai differente e nessuno dei due comprende l’altro.

Originale la maniera in cui la licantropia viene mostrata “dall”interno”, uno degli espedienti più convincenti del film. La regia di Whannell è solida e capace di costruire delle buone atmosfere e un efficace senso di claustrofobia e tensione, nonostante lo schema delle sequenze di ansia-azione diventi a lunga un po’ ripetitivo.

La struttura è quella del più classico monster movie, con una sceneggiatura lineare e gradevole, che però talvolta mostra il fianco con ingenuità evitabili, come per esempio il fatto che la casa abbia inferriate alle finestre ma manchi di rinforzi alle porte, o il vedere persone di città in grado di usare fucili e ricaricare la batteria dell’auto senza che sia dato loro un background credibile per le loro skills.

Recensione di Wolf Man (2025) e analisi

Mostri classici a confronto

Nel complesso Wolf Man è un film apprezzabile, un body-horror intimista con dei buoni effetti e delle efficaci atmosfere ansiogene, capace di tenere alta l’attenzione nonostante la tematica piuttosto inflazionata.

Dunque perché, per molti, è stata una così cocente delusione?

Il film di Whannell ha la sfortuna di doversi confrontare con altri due mostri classici di recente tornati sul grande schermo: Nosferatu e L’Uomo Invisibile. Anche Eggers si prende la libertà di dare un volto diverso al Conte Orlok, ma nel suo caso il restyling del personaggio risulta molto più interessante di quanto non sia il look del nuovo Uomo Lupo. Parlando de L’Uomo Invisibile, diretto dello stesso Whannell, è una rivisitazione che ha sicuramente più carattere e un’idea di base più salda e significativa (in quel caso, “L’uomo invisibile” affrontato come discorso sulla violenza di genere, in particolare sugli effetti della manipolazione e dello stalking). 

Recensione di Wolf Man (2025)

Recensione di Wolf Man: conclusioni

Non è certo obbligatorio che un film horror abbia un “messaggio” da veicolare, ma dal momento che l’intento di Wolf Man è chiaramente quello di parlare di tematiche familiari e sociali e di innestarsi nella corrente “elevated horror”, lo sforzo in tale senso è meno riuscito del previsto.

In conclusione Wolf Man è un film che, pur senza lasciare un’impronta indelebile nella memoria degli appassionati di cinema licantropico e horror, si rivela comunque un prodotto dignitoso, superiore alla media delle uscite Blumhouse. Wolf Man offre alcune buone intuizioni, apprezzabili effetti artigianali di vecchia scuola e una componente umana e drammatica convincente, che lo rendono un’esperienza interessante, sebbene non imprescindibile.

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