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Recensione di Nosferatu (2024) – Il nuovo horror di Robert Eggers

By on 9 Gennaio 2025 0 92 Views

Recensione di Nosferatu, l’attesissimo horror gotico di Robert Eggers.

Recensione di Nosferatu

Recensione di Nosferatu

Robert Eggers torna al cinema con Nosferatu, film attesissimo dal pubblico e che lui stesso sognava di dirigere da anni. Il regista non aveva mai nascosto il suo amore per il capolavoro di Murnau e il suo debito verso l’espressionismo tedesco, e dunque era naturale che prima o poi si confrontasse con un progetto tanto ambizioso quanto personale, in cui avrebbe potuto rendere omaggio alle sue radici artistiche.

Scomodare titoli di questa caratura è rischioso, considerando gli importanti predecessori con i quali sarai inevitabilmente confrontato, ovvero il Nosferatu di Murnau e quello di Herzog, entrambi pellicole immense e immortali. Eggers raccoglie la sfida e confeziona un film che omaggia i precedenti ma che riesce comunque a dare una propria visione del mito, nonostante si tratti di una storia ben nota a qualsiasi amante dell’horror (e non solo) già vista adattata più e più volte.

Recensione di Nosferatu

Un trionfo visivo e di atmosfere

La prima cosa che salta all’occhio è certamente il comparto tecnico-estetico, con una sempre ottima fotografia di Jarin Blaschke e un’attentissima cura set design e costume design: Nosferatu è un film ricercatissimo e di enorme impatto visivo, artificioso forse, come può esserlo un quadro dove ogni elemento è studiato con spasmodica attenzione.

Eggers non lavora solo sull’estetica ma riesce a plasmare, soprattutto nella prima parte, atmosfere pesantissime: ricordiamo l’incredibile scena da brivido in cui Thomas Hutter giunge al castello, dove il tono è quello di un incubo febbrile, tremendo e surreale. Nosferatu di Eggers è un film che riesce in certi momenti a fare davvero paura, pur giocando su pattern assolutamente tradizionali: le ombre, i movimenti nelle tenebre, il non sapere quello che ci attende. Il comparto sonoro eccezionale senza dubbio è d’aiuto nella costruzione del clima di angoscia che ci accompagna per l’intero film.

Dal punto di vista narrativo Nosferatu è lineare, non era fra i proposti del regista sovvertire il mito del vampiro, quanto invece mostrare consapevolmente come anche la più classica delle storie possa ancora funzionare se raccontata nella maniera giusta.

Troviamo riflessioni sulla condizione della donna dell’epoca vittoriana e di come la sessualità venisse repressa e demonizzata, come un male da scacciare. Il vampiro è intrinsecamente legato al concetto di sessualità dalla notte dei tempi, ma Eggers insiste sulla tematica tanto da inserire anche una velata (ma neanche troppo) scena di necrofilia. È una rilettura scabrosa, la sua, capace instillare nello spettatore un continuo senso di disagio.

Un Orlok inedito

Per il conte Orlok si è deciso di prendere le distanze dai film precedenti, elaborando un character design totalmente inedito, che ha fatto storcere il naso a qualcuno ma che noi troviamo storicamente molto plausibile oltre che somigliante a quanto descritto da Stoker nel suo romanzo.

Certo, Eggers si prende diverse libertà, come il fatto di aver coperto il suo Nosferatu di piaghe brulicanti come quelle di un cadavere non più freschissimo. Iconograficamente viene abbandonata l’immagine classica del Nosferatu glabro o del conte impomatato, per rifarsi piuttosto allo “strigoi”, figura della mitologia romena su cui verosimilmente si basa il vampiro moderno.

Gli strigoi erano letteralmente cadaveri usciti dalla tomba, dall’aspetto consunto e dall’atteggiamento quasi ferino, come appunto sembra essere il Nosferatu di Eggers.

Folk horror fra i Carpazi

Il regista torna quindi nelle zone del “folk horror” a lui tante care, sottolineando l’aspetto popolare e arcaico di certe leggende. Memorabile la sequenza ambientata nei Carpazi dove Thomas sorprende i nomadi alle prese con un rituale sinistro, in cui una fanciulla nuda a cavallo viene fatta sfilare fra le tombe del cimitero. Secondo i racconti, infatti, un cavallo bianco montato da una vergine (o da un bambino, oppure, a seconda della versione, anche un cavallo senza fantino) è usato per identificare il nascondiglio di un non-morto: le tombe che il cavallo si rifiuta di calpestare sono quelle che vanno purificate.

Il regista riporta la figura del vampiro alle origini, spogliandolo di tutti gli “accessori” di cui è stato coperto nell’arco di almeno un secolo: Nosferatu è il male puro, è un appetito e nulla più, è la morte, è la pestilenza stessa che si sta diffondendo per la città. Un concetto essenziale, ma proprio per questo efficace. Nosferatu è mostrato pochissimo ma la sua presenza (e la sua ombra) percorre l’intero film, come un presagio ineluttabile di tragedia e di morte.

Recensione di Nosferatu

Un equilibrio delicato

Sotto il trucco di Nosferatu troviamo Bill Skarsgård, attore dal volto e dalla mimica particolare, qui forse sprecato dal momento che è completamente irriconoscibile. Nel cast anche Nicholas Hoult, Aaron Taylor-Johnson e Willem Dafoe, quest’ultimo nel ruolo del Professor Albin Eberhart Von Franz (Van Helsing). In generale, sono esasperati i toni recitatavi del cast, scelta voluta nell’ottica di omaggiare l’impostazione teatrale del film di Murnau. Lily-Rose Depp si cimenta in un ruolo da protagonista particolarmente impegnativo, dimostrando di esserne all’altezza, nonostante in alcuni momenti si avvicini a toni quasi bizzarri.

Apprezzabile la capacità con cui Eggers tocca il grottesco senza però perdere il controllo del film e del mood che ha scelto di portare avanti. Il finale è emblematico di ciò: una scena di chiusura potentissima nella sua malinconia e nel suo romanticismo, ma nonostante questo molto disturbante, disgustosa e a suo modo surreale. Il regista mantiene il tutto in un equilibrio delicatissimo, riuscendo al tempo stesso a commuovere e a scioccare.

Recensione di Nosferatu: Conclusioni

Eggers, che piaccia o meno, ha un’idea molto precisa di cosa sia l’horror, che porta avanti con coerenza di pellicola in pellicola. Il suo Nosferatu è una devastante lettera d’amore verso il cinema espressionista e al film di Herzog, una pellicola perfetta nella messa in scena, dove la scrittura passa in secondo piano per privilegiare l’estetica e le atmosfere.

Sostanzialmente è una pellicola che non ha realmente nulla di nuovo da dire, forse la più mainstream girata da Eggers finora, ma che è visivamente bella e capace di inquietare in più momenti, cosa che rende la fruizione, soprattutto al cinema, un’esperienza da non perdere.

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