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Orozco, Junk Films e The Wasteland – Recensione della trilogia di Kiyotaka Tsurisaki
ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE IMMAGINI FORTI
È uscito grazie a TetroVideo il cofanetto con la trilogia di shockumentary del fotografo e regista giapponese Kiyotaka Tsurisaki, Orozco – The Embalmer, Junk Films e The Wasteland, documentari sullo studio della morte realizzati da Tsurisaki tra il 2001 e il 2014.
Il cofanetto Kiyotaka Tsurisaki Shockumentary Collection, dalla forma di bara, è un’edizione limited 200 copie 2 dischi (DVD+Blu-ray) contenente anche 3 card da collezione.
Kiyotaka Tsurisaki è un autore specializzato nel macabro e i suoi film sono finestre aperte sulla brutalità della morte e sulla miseria umana. Nel corso della sua carriera, Kiyotaka ha fotografato più di mille morti, un primato che spesso gli ha causato problemi legali nel suo paese d’origine.
Orozco – The Embalmer (2001)
Orozco – The Embalmer è la più famosa delle opere di Tsurisaki, nonché la più disturbante, dal momento che mostra integralmente il processo di imbalsamazione delle salme (reali, ovviamente).
Il documentario mostra la routine quotidiana di Froilan Orozco, imbalsamatore di professione che lavora in uno dei luoghi più pericolosi e malfamati della Colombia, “El Cartucho”, che è povera in tutto tranne che di cadaveri, quelli abbondano sempre.
Orozco – The Embalmer è uno doc-shock fra i più estremi e sconvolgenti che vi capiterà di vedere, dove viene mostrato nel dettaglio l’ingrato lavoro di Orozco, ma anche il contesto sociale in cui siamo calati, anch’esso fonte di shock e disagio.
Un quadro di degrado e violenza che lascia sgomenti: fra edifici grigi e fatiscenti, i cadaveri si decompongono buttati agli angoli delle strade, sotto lo sguardo poco preoccupato della gente, mentre i bambini si rincorrono saltando fra le pozze di sangue delle vittime di incidenti come nulla fosse.
In un posto come questo, dove la vita ha così poca importanza, che importanza può avere la morte?
È qui che emerge il valore e l’amore di Orozco per il proprio lavoro, che cerca come può di restituire ai cadaveri un minimo di dignità, seppur con mezzi piuttosto rozzi ai nostri occhi.
Gli imbalsamatori moderni hanno conoscenze di anatomia, patologia, microbiologia, chimica, cosmetologia e arte restaurativa, professionisti che negli USA e in Europa devono completare impegnativi corsi di formazione prima di poter ottenere la licenza necessaria.
Orozco non sembra proprio un laureato, è più vicino al proverbiale “falegname che con 30.000 lire lo faceva meglio” (nel suo caso 50 dollari a imbalsamazione). Un umile artigiano della morte, che lavora in quello che sembra uno sgabuzzino, minuscolo, sporco, buio e caotico, operando sui cadaveri con mezzi quasi di fortuna.
Non è certo il primo film a mostrare sequenze di autopsia e imbalsamazione, ricordiamo per esempio alcune clip del classico Faces of Death (1978) o del successivo Traces of Death (1993) o anche il documentario The Road to Eden (1995), simile per tematica a Orozco, che segue le vicende di un imbalsamatore ungherese al lavoro sui corpi degli anziani di una casa di riposo.
Ma la scene mostrate in questi film, oltre ad essere spesso parecchio datate (in Traces od Death, per esempio, sono filmati del 1961) hanno un’assoluto timbro scientifico: c’è un preciso rigore medico e tecnico durante l’intero processo, una freddezza che rende la visione meno disturbante, forse per il fatto che sembra un oggetto di studio universitario più che “true gore”.
Il malessere che trasuda Orozco – The Embalmer è qualcosa di inedito, che ha a che fare proprio con la totale mancanza di delicatezza con cui maneggia i cadaveri e la maniera piuttosto grossolana con cui li opera.
Come sacchi di patate i cadaveri di Orozco vengono sbattuti di qua e di là, con violenza, fra le imprecazioni dello stesso imbalsamatore.
I corpi arrivano già martoriati da autopsie che sembrano anch’esse piuttosto “rustiche” e a quel punto Orozco, fra la polvere e l’oscurità del sua tugurio fatiscente, li lava e li svuota dai liquidi nella maniera più invasiva possibile, ovvero aprendoli come branzini e tirando fuori le interiora, probabilmente perché privo delle strumentazioni adeguate come tubi di drenaggio.
Tsurisaki mostra ogni passaggio del processo, motivo per il quale si sconsiglia la visione alle persone più sensibili. A differenza delle sale bianche e luminose in cui sia abituati a immaginare il lavoro di un imbalsamatore, quello di Orozco sembra il retrobottega di un macellaio, dove i cadaveri vengono aperti e ricuciti, svuotati e riempiti di stracci e giornali, una collezione di sequenze davvero difficili da digerire. Fra le più sconvolgenti: la pelle del volto di un cadavere che viene “ribaltata” per scoprire il cranio.
Nonostante la rozzeria del suo lavoro, se paragonato alle norme medico-sanitarie vigenti, Orozco, come lui stesso dichiara con orgoglio, svolge per la comunità un servizio importante e a buon mercato, quando tempo addietro i corpi venivano buttati nelle fosse comuni.
Nell’arco della sua carriera Orozco ha imbalsamato 50mila cadaveri e muore proprio durante le riprese del documentario, per complicazioni legate alla sua ernia, probabilmente sviluppata per lo sforzo di spostare corpi tutti i giorni per tutto il giorno.
Ironico che alla fine a ucciderlo siano stati proprio i morti ai quali ha dedicato la sua intera esistenza.
Orozco – The Embalmer è documentario estremo, ma a suo modo affascinante e malinconico. Un ritratto di povertà e disperazione, uno squallore annichilente che quasi toglie il fiato, come annichilente è la crudezza della morte e l’insensatezza dalla vita, specialmente in luoghi come Bogotà.
In mezzo ai rifiuti, alla polvere, ai poveracci strafatti di crack, emerge raro e prezioso qualche piccolo bagliore, come la dolcezza di un cucciolo con le gambette ingessate dopo essere stato investito o gli occhi lucidi del figlio di Orozco che parla del padre con la voce rotta, a ricordarci che nessuno è veramente insensibile alla morte, anche se ci cresce in mezzo.
Junk Films (2007)
Junk Films è un documentario del 2007, una collezione shockumentary in pillole. Oltre ad una selezione di vittime di incidenti mortali, il film mostra una serie di bizzarri eventi folkloristici, come da tradizione del mondo movie, con un occhio sempre rivolto verso le morte e la spaventosa precarietà della condizione umana.
Junk Films è una sorta di diario di viaggio di un turista del macabro. Tsurisaki ha un’approccio ultrarealista, privo di fronzoli, colonna sonora e voci fuori campo.
Fra i segmenti più interessanti troviamo il “Vegetarian Phuket Festival”, in Thailandia, dove per dieci giorni si celebra la purificazione della mente e del corpo. Durante le cerimonie il canto rituale conferisce agli eletti poteri soprannaturali che consentono loro di auto-infliggersi torture terribili a vedersi, come la camminata sui carboni ardenti e l’arrampicata sulla scala di lame. Il rito più caratteristico è però quello durante il quale i giovani, in uno stato di trance, sfilano con le guance trafitte nei modi più impensabili, con spilloni, spade, asce e ombrelli. Tradizione vuole che i posseduti non sentano alcun dolore e che alla fine non mostrino segni di danni reali.
Sempre in Thailandia assistiamo a un altro evento a dir poco grottesco, l’esumazione di massa di migliaia di corpi non reclamati. Squadre di volontari, in un clima rilassato e festoso da gita scolastica, portano alla luce un’infinità di scheletri, ripulendoli dalle rimanenze di carne marcia, resti che saranno depositati in magazzino e poi cremati in massa attraverso una cerimonia buddista, per fare spazio ad ulteriori cadaveri non identificati.
Ricordiamo anche il segmento “Varanasi”, in India, dove assistiamo a un tradizionale rito funebre.
Varanasi è la città più santa per gli Indù e sembra che morire lì significhi per loro liberarsi in maniera definitiva dal Ciclo delle Rinascite e raggiungere la Mokhsa, quello che i Buddhisti chiamano Nirvana, motivo per il quale arrivano persone da ogni parte del mondo per morire a Varanasi.
Sebbene sia solitamente vietato riprendere la celebrazione, Tsurisaki ci mostra i cadaveri ricoperti da teli variopinti che aspettano di essere bruciati sulle cataste di legna e quelli già lambiti dalla fiamme del fuoco eterno. Secondo la credenza locale per raggiungere il Nirvana e abbandonare il ciclo delle reincarnazioni il cadavere deve essere esumato con il fuoco di Shiva e le ceneri cosparse nel fiume Gange. Un rituale profondamente simbolico e suggestivo, ma all’occhio dell’obiettivo non sfugge il suo lato più macabro, finendo per inquadrare pezzi di arti carbonizzati fra le pire ormai consumate.
Per concludere vediamo il rituale funebre giapponese dell’urna, piuttosto curioso agli occhi di un occidentale: dopo essere stato cremato, le ossa del defunto vengono raccolte una per una con le bacchette dai parenti che le posizionano nell’urna. L’addetto alla cremazione indica loro quali sono i pezzi importanti da raccogliere e si assicura che le ossa del cranio siano inserite per ultime, questo per garantire che il defunto non sia a testa in giù. Quando l’urna è stata riempita, vengono aggiunte banconote come buon augurio, l’urna viene poi coperta e avvolta in un panno bianco per essere portata a casa o direttamente al cimitero.
Junk Films è in realtà completamente privo di commenti o spiegazioni, motivo per il quale ci siamo presi noi qualche istante per capire a cosa si stia assistendo. La forza del documentario sta nel suo realismo estremo, macabro ma privo di sensazionalismo, un susseguirsi alienante e vagamente malinconico di umanità che ha come comune denominatore la morte ed il suo culto, una testimonianza indubbiamente cruda ma di notevole interesse antropologico.
The Wasteland (2014)
Concludiamo con The Wasteland, fra i tre l’opera più nichilista e depressiva.
Wasteland significa letteralmente deserto, terra desolata, nel mito il “Wasteland” è lo stato di desolazione che seguì la scomparsa del Santo Graal e la morte di Re Artù. È il dopoguerra, fatto di morte, polvere e detriti. È l’Apocalisse ormai avvenuta. Il Wasteland non è solo uno stato fisico, ma anche mentale, l’aridità di uno spirito ormai prosciugato, un guscio vuoto che un tempo era altro ed era vivo.
Il film di Tsurisaki rappresenta questo tetro senso di abbandono, di rovina e di sconfitta, mostrando ciò che l’uomo sta facendo a sé stesso.
I temi affrontati sono la povertà, la guerra, la religione e tutto ciò che ha avuto e ha un impatto negativo sulla Terra, mostrato attraverso luoghi devastati, riti, cadaveri e marce militari per le città, in un’atmosfera opprimente e oscura sottolineata dalla colonna sonora della band doom metal Corrupted.
La trilogia della morte di Kiyotaka Tsurisaki non è per tutti. Ciò che mostra è la cruda realtà, che non viene mai ammorbidita né giudicata. Quello che fa il regista è ricordarci che la morte ci circonda ogni giorno, per quanto nei secoli abbiamo cercato di tagliarla fuori, di relegarla al tabù, è l’ineluttabile che si avvicina, non basta girarsi dell’altra parte. Una trilogia scioccante e depressiva in grado di turbare profondamente anche gli spettatori dallo stomaco più forte.
Per l’acquisto: Kiyotaka Tsurisaki Shockumentary Collection
Fun Fact:
Esiste un brevissimo corto in stop motion che riprende in maniera molto precisa il mood del documentario.